Produzioni di montagna sostenibili

di Lorenzo Cesconi – Presidente del Consorzio Vignaioli del Trentino

Il Trentino, 9 maggio 2018

La transizione verso nuovi modelli agricoli in contesti montani è una sfida ineludibile ma molto complessa, perché l’agricoltura di montagna è caratterizzata da condizioni di contesto limitanti: poca superficie, scarsa accessibilità, ampie zone impervie e non meccanizzabili, problemi di stabilità idrogeologica, vicinanza con i centri abitati. Negli anni le terre alte e di versante sono state spesso abbandonate, per concentrare la viticoltura nelle zone di pianura – anche a fronte di una perdita di potenziale qualitativo delle produzioni – e molte aree sono state perse. La vitivinicoltura di montagna si trova di fronte a sfide difficili: i cambiamenti climatici e la variabilità meteorologica; la concorrenza tra sistemi territoriali sempre più capaci di produrre vini di qualità; la riduzione dell’impronta ambientale e paesaggistica; il recupero e la crescita di biodiversità e funzioni ecosistemiche; la capacità di garantire il giusto reddito e valore fondiario ai contadini di montagna ed evitare così l’abbandono delle terre alte; dare risposte alle richieste di consumatori sempre più consapevoli e attenti alla qualità, alla salubrità e alla sostenibilità dei prodotti, anche in chiave di integrazione con le attività di promozione turistica; la ricerca di un equilibrio sempre più delicato tra attività agricola, comunità locali e spazi pubblici. La sfida della sostenibilità in montagna passa principalmente dall’adozione di un modello orientato alla qualità e alla valorizzazione delle produzioni territoriali. Produrre meno per produrre meglio, si può dire. Agricoltura è coltivazione della natura, non ipersfruttamento: la risposta a queste sfide non può essere cercata quindi nel maggiore impiego della chimica e non può venire solo dalla tecnologia. La risposta sta nello sviluppo di un’agricoltura in grado di produrre cibo sano e nutriente in maniera rispettosa dell’ambiente. Modelli intensivi tesi allo sfruttamento delle piante e alla massimizzazione del prodotto sono perciò sostanzialmente incompatibili con una transizione verso un’agricoltura realmente sostenibile. Serve in tal senso una strategia di sistema, un nuovo modello per l’agricoltura di montagna che sia anche un antidoto alla “pianurizzazione delle terre alte”. Conversione biologica e biodinamica, varietà resistenti, miglioramento genetico, recupero e valorizzazione delle varietà storiche e autoctone, valorizzazione delle aree storicamente vocate, sono questi a nostro modo di vedere gli ingredienti di una politica realmente tesa alla sostenibilità, e sono incompatibili con una logica produttivistica. Una politica di questo tipo comporta un aumento dei costi di produzione, alla quale deve corrispondere un aumento del reddito attraverso una maggior valorizzazione dei prodotti di montagna. E’ necessario quindi uno sforzo congiunto e coordinato di tutti gli attori del sistema, dalle Istituzioni agli enti di ricerca, dalle associazioni di categoria fino alla singola azienda, chiamata sempre più ad un ruolo attivo, consapevole ed informato. In questo contesto si colloca anche la diffusione delle varietà resistenti. La ricchezza varietale di vite europea è un patrimonio da cui non si può prescindere: troppo a lungo però si è rinunciato al miglioramento genetico della piattaforma varietale europea e la selezione clonale ha estremizzato l’impoverimento genetico della vite. Per affrontare le sfide che abbiamo davanti servono soggetti più forti, e quindi ben venga il miglioramento genetico delle varietà ad oggi più diffuse e la selezione di nuovi ibridi resistenti. Un solo monito: la ricerca sia al servizio dell’agricoltura per vincere queste grandi sfide, ma si eviti di creare varietà più resistenti per poter colonizzare, in una logica industriale, quelle aree da sempre poco adatte alla coltivazione della vite. Questo consentirebbe ai patogeni di dribblare il meccanismo di tolleranza ed alimenterebbe ancora di più una viticoltura industriale finalizzata alla produzione di vini a basso costo e, di fatto, nemica della sostenibilità.

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