Vendemmia 2017: dove finisce l’identità territoriale?
Comunicato stampa – 10/11/2017
Lorenzo Cesconi – Presidente del Consorzio Vignaioli del Trentino
I dati delle vendemmia 2017 in Trentino confermano le preoccupazioni che avevamo espresso qualche mese fa, rispetto al netto calo di produzione legato ad un andamento stagionale difficile, segnato da gelo primaverile, siccità e forti grandinate. Ma confermano, purtroppo, anche altre preoccupazioni, che i Vignaioli del Trentino esprimono da anni: la continua, progressiva riduzione della produzione di varietà autoctone, a favore di un’espansione senza freni del Pinot Grigio, che ormai da solo rappresenta un terzo della produzione totale.
Basta un paragone con i dati della vendemmia 2012 per capire la tendenza in atto: il Pinot Grigio sale dal 29% al 33%, mentre tutte le varietà autoctone e rappresentative del territorio continuano inesorabilmente a scendere. La Nosiola da un già misero 0,6 scende allo 0,4% della produzione totale, il Teroldego perde un punto percentuale su un già non entusiasmante 8,3%, il Lagrein scende sotto il 2%, le Schiave ormai sempre più schiacciate verso il 2%: il Marzemino, nonostante gli sforzi di qualche eroico produttore, passa dal 3 al 2% e sembra ormai condannato alla residualità, anche nelle sue zone di elezione. Quelle che dovrebbero essere le bandiere del territorio, ogni anno che passa sembrano ammainarsi.
Sta qui, in questa incapacità di riconoscere che per ogni territorio ci sono dei vitigni di elezione che vanno tutelati, difesi, valorizzati, uno dei principali problemi del nostro sistema vitivinicolo: al contrario, immaginare che un vino commodity come il Pinot Grigio possa rappresentare la soluzione giusta per ogni contesto, non in ragione di una valutazione sulle vocazioni ma sulla base del solo andamento di mercato, finisce per innescare un meccanismo perverso che toglie valore al territorio, il principale “capitale” di cui disponiamo.
Nel 2010 il Dossier di San Michele individuava nella “mancanza di un’adeguata identità territoriale con conseguente mancanza di tipicità del vino prodotto” una delle maggiori criticità del settore vitienologico trentino, riconoscendo che una sproporzione sempre più netta tra varietà non territoriali e vitigni autoctoni e di lunga tradizione “non facilita l’adozione di concetti come tipicità e unicità della produzione vitivinicola locale.”
Già nell’Indirizzo Viticolo del 1954, elaborato dal Comitato vitivinicolo della Provincia di Trento guidato da Beppi Andreaus, si elaborava un piano che partiva da un’analisi dettagliata dei diversi territori, per arrivare a proporre la coltivazione di determinate varietà lì dove esse potevano godere delle migliori condizioni, con l’obiettivo di definire un modello misto ma equilibrato, che riconosceva nella eccezionale varietà di terroir un punto di forza, non un’anomalia da cancellare e omologare.
Oggi, anche alla luce di questi dati, si avverte con ancora maggiore urgenza il bisogno di una pianificazione, di una regia complessiva, di un progetto di lungo raggio per il sistema vitivinicolo trentino: non possiamo permetterci di andare verso una sostanziale monocoltura e di proseguire con modelli produttivi tipici di contesti di pianura, perché – purtroppo i numeri ogni anno ce lo chiariscono in modo fin troppo netto – questo trend è antitetico rispetto alla valorizzazione delle tipicità e delle vocazioni di un territorio che, come dimostrato il week end scorso con le straordinarie degustazioni organizzate nel contesto del trentesimo anniversario di fondazione dell’Associazione Vignaioli del Trentino, ha potenzialità enormi in termini di qualità.