Trentino: DOCG, dibattito surreale!
20/09/2019
di Lorenzo Cesconi – Presidente del Consorzio Vignaioli del Trentino
“Davvero c’è qualcuno che pensa che basti scrivere Docg sull’etichetta di un vino per qualificarlo di fronte al consumatore? Davvero c’è qualcuno che pensa che si possa risolvere il crescente problema di redditività dell’attività vitivinicola con un’operazione di “trucco e parrucco”?”
DOCG, dibattito surreale! Il surrealismo era un’espressione artistica. In Trentino, sembra diventato la cifra del dibattito sul sistema vitivinicolo. Assistiamo ormai da tanti anni, infatti, a descrizioni del modello, rappresentazioni del territorio, proposte di sviluppo, che sono evidentemente altro rispetto alla realtà. Un dibattito surreale, appunto. Rientra pienamente in questo filone anche l’ultima proposta sulla riforma delle denominazioni di origine che sembra essere stata formulata dal Consorzio Vini del Trentino. Dico sembra, perché in realtà ne veniamo a conoscenza solo da alcune dichiarazioni rilasciate dal suo presidente al Corriere del Trentino. Eravamo rimasti a un possibile riconoscimento della Docg al Vino Santo Trentino, piccola ma preziosissima perla della nostra enologia: vino di assoluta eccellenza, prodotto solo in un territorio limitato e di storica vocazione, da produttori (vignaioli e cantina sociale) che condividono già ora modalità di produzione e gli obiettivi di qualità e territorialità. Scopriamo oggi che questo tema è sparito dall’agenda, sostituito dalla volontà di creare quattro Docg varietali, legate a tre vitigni autoctoni (Nosiola, Teroldego, Marzemino) e all’immancabile Pinot Grigio. Se non fossero dichiarazioni ufficiali, verrebbe da pensare che i decisori del sistema vitivinicolo stiano giocando con la tecnica di poesia surrealista del “cadavere squisito”. Il gioco consisteva nel far comporre una frase da più persone senza che nessuna potesse tener conto di quanto avesse scritto la persona che la precedeva. La prima poesia così composta, ironia della sorte, era “Il cadavere squisito berrà il vino nuovo”. Qui, però, di nuovo c’è ben poco, e il cadavere – tutt’altro che squisito – rischia di essere quello del territorio, ancora una volta ultimo elemento che sembra stare a cuore al Consorzio Vini e ai grandi players del sistema trentino.
Surreale. Mentre in Südtirol procedono senza indugi sulla strada della qualità e della valorizzazione del territorio, proponendo di ridurre ancora le rese delle denominazioni del 25% e limitando le varietà utilizzabili nei diversi territori (esaltandone quindi al massimo la vocazionalità), il Trentino sembra andare ancora in direzione opposta. Invece di procedere a una seria e profonda revisione degli attuali disciplinari, per provare a rivitalizzare una Doc Trentino ormai priva di forza non solo sui mercati, ma anche tra i produttori stessi che la rivendicano sempre di meno e con sempre meno convinzione, ci si inventa una soluzione di pura apparenza. Non c’è nulla di più dannoso di una Docg varietale, affibbiata d’ufficio a quattro varietà completamente diverse: una Nosiola e un Marzemino in via di estinzione, per colpa di una visione industriale della vitivinicoltura; un Teroldego che, nella sua denominazione di territorio (Teroldego Rotaliano), ha alla base un disciplinare che premia la quantità a scapito della qualità, e che ormai vede declassata, ogni anno, circa metà della produzione atta a Doc; un Pinot Grigio ormai vino commodity, completamente disancorato dal territorio, per il quale è stata creata una Doc interregionale e ciò nonostante – surreale anche questo – si sono contemporaneamente alzate le rese della denominazione Trentino. Davvero c’è qualcuno che pensa che basti scrivere Docg sull’etichetta di un vino prodotto con una di queste quattro varietà, per qualificarlo di fronte al consumatore? Davvero c’è qualcuno che pensa che si possa risolvere il crescente problema di redditività dell’attività vitivinicola con questa operazione di “trucco e parrucco”? Non è bastata la recente e costosissima esperienza dell’ape maia (certificazione sqnpi) per capire che a problemi complessi non si possono dare risposte banali? Se fossi un pittore surrealista, per illustrare questa proposta disegnerei un maiale incravattato. Ma sono un vignaiolo, che ha l’onore e la responsabilità di rappresentare gli interessi di oltre sessanta imprese familiari: centinaia di persone che lavorano e investono sul territorio, nonostante le sempre maggiori difficoltà e il sempre maggiore senso di scoramento. Non possiamo più permetterci boutade e perdite di tempo: se c’è davvero interesse a riformare il sistema, lo si faccia dalle fondamenta, con serietà, e i Vignaioli saranno pronti come sempre a fare la loro parte. Se, al contrario, si vuole definitivamente trasformare la vitivinicoltura trentina in un sistema industriale che rincorre modelli insostenibili per un territorio come il nostro, noi non ci stiamo.
Pubblicato in data 20/09/2019 sul Corriere del Trentino